Capitolo primo
Un paesino della Sicilia negli Anni Settanta
È proprio vero, quando dicono che sono la copia
esatta di Florinda Bolkan hanno proprio ragione! I miei capelli
corvini, il viso magro e spigoloso, lo sguardo profondo dei miei occhi
neri e la bocca piccola eppure radiosa, sono stati sempre la fonte
maggiore dei miei numerosi guai. Adesso, con i miei venticinque anni
mi sento già vecchia e quella giovane donna disperata che mi guarda al
di là dello specchio mi stupisce, ma solo per quella giovinezza del
corpo che oramai non sento più mia.
Sono rinchiusa qui, in casa mia, prigioniera della
Giustizia..., « arresti domiciliari» li chiamano.., ma non mi
lamento... quello che mi è accaduto è assurdo. Non è facile credere
alla nostra versione dei fatti: alla versione mia e di Giuliano.
Lui sta in carcere da quasi un anno, giù in
città, ed io lo sono invece qui nella mia casa. Sola in campagna con
la nostra Marta, che ha pochi mesi ed è bellissima, soltanto lei
riesce a farmi dimenticare quello che è accaduto meno di un anno fa e
che mi vede imputata di « uxoricidio» in concorso con Giuliano, il
nipote di mio marito Rosario. Non posso proprio fare a meno di pensare
alla dolcezza del primo ed al carattere indecifrabile e subdolo del
secondo! La nostra sola colpa, mia e di Giuliano, è stata quella di
non essercene fuggiti lontano dalle sue trappole. Quando tutto
repentinamente accadde era ormai troppo tardi per ritornare indietro a
rimediare.
Tutto ebbe il suo insignificante inizio quasi una
decina di anni fa. Non avevo ancora quindici anni allora, e sembravo
già più grande della mia età. I miei lunghi capelli neri ed i miei
occhi erano, se possibile, ancora più splendenti. Non sono mai stata
una ragazza vanitosa, ma me lo ripetevano sempre tutti che ero la più
bella del paese e che un giorno un uomo bellissimo e ricchissimo mi
avrebbe portata via dagli stenti e dalla miseria di quella nostra vita
ghiacciata d’inverno ed infuocata d’estate. Via dalla nostra tremenda
estate di gente povera del Sud, con il caldo che aumenta sempre più
anche nei pensieri e che esaspera atrocemente tutti i problemi e che
porta a galla tutti i rancori... La tragedia di dieci anni dopo,
infatti, si acuì e si consumò proprio verso agosto: ricordo che quel
giorno eravamo arrivati a 42 gradi all’ombra.., e quella notte non si
poteva nemmeno respirare.
Quindici anni
avevo ed un corpo di donna fatta. Ma i miei sogni erano ancora di
bambina. Si usciva solo per andare a Messa la domenica e per andare ad
imparare il ricamo, che in paese è una vera e propria tradizione
tramandata da secoli; ma che è un’attività noiosissima per chi non
sogna altro che di andarsene via, a qualunque costo! Altra occasione
attestssima da noi ragazze era la festa del Santo patrono. In quei
giorni, infatti, era possibile finalmente incontrare delle facce
diverse dalle solite; tantissin-ìa gente veniva anche dai paesi vicini
ad assistere ai devoti e pittoreschi festeggiamenti organizzati dal
nostro parroco con l’aiuto del comune. Naturalmente io e le mie amiche
eravamo attratte soprattutto dai bei ragazzi che, anche loro, venivano
appositamente per ammirare noi che, quasi innocentemente, percorrevamo
decine di volte il corso principale con il solo scopo di incrociare,
quanto più era possibile, il nostro principe azzurro. Ma che poveri
principi erano! Anche noi ci rendevamo conto che, se volevamo
veramente cambiare in meglio la nostra esistenza, non era a loro che
dovevamo rivolgere i nostri occhi ed i nostri desideri! Eppure erano
dei bei ragazzi, la maggior parte ventenni, ma tutti con uno «
splendido » futuro di muratori o di contadini a giornata. E mentre si
passeggiava si pensava.., che era meglio non pensare e godersi la
gioventù e le belle giornate, semplicemente!
Fu proprio durante la festa del Santo che lui » mi
si avvicinò; poco dopo che io ebbi salutato Lina e Lucia che mi
avevano fatto compagnia durante la famosa passeggiata annuale. « Lui
si chiamava Rosario, me lo ricordavo perchè Lucia, avendolo visto
poche ore prima, ci aveva raccontato che era partito circa otto mesi
prima per l’Australia a cercare fortuna; ma non si sapeva se l’aveva
trovata oppure no. Dopo le parole della mia amica non avevo più badato
a colui che ai miei occhi non sembrava altri che un vecchio e che
doveva essere certamente sui trentacinque anni. Ti posso accompagnare?
» — mi chiese con troppa audacia il signor Rosario — « Sempre se non
c’è qualcuno che si potrebbe ingelosire". Ma il suo scopo, lo capii
ben presto, era quello di informarsi se per caso c’erano concorrenti
da sbaragliare.
Purtroppo solo più tardi compresi che gli ero
entrata irrimediabilmente nel sangue, e tutto a mie spese...
Quella sera, quella del nostro primo incontro,
fuggii via spaventata; ma lui non si lasciò scoraggiare. Tre giorni
dopo si presentò addirittura ai miei genitori, con un bel vestito ed
un bel sorriso. Mio padre e mia madre — gente estremamente semplice —
si sentirono imbarazzatissimi per la visita dell’australiano. E
l’australiano Rosario con una faccia tosta, ma con una voce
emozionata, chiese a mio padre se acconsentiva che io divenissi sua
moglie. Al pover’uomo stava quasi per venire un colpo! Ed anche a me,
che incuriosita dalla messinscena del forestiero stavo "controllando »
lo svolgimento della conversazione, per poco non mi si fermò il cuore.
Ma non per l’emozione gioiosa di essere stata chiesta in moglie, ma
per il timore che mio padre — nella speranza di maritarmi e di
liberarsi finalmente di una bocca in più da sfamare — acconsentisse
all’assurda richiesta di quel « vecchio in cerca di ragazzine ». Ma
sarei subito entrata nella stanza a dargli un bacio quando gli
rispose: «La nostra Nina è ancora una bambina; è troppo presto per
parlare di fiori d’arancio. Noi siamo povera gente e siamo onorati
della sua richiesta, ma deve sapere che mia figlia non ha ancora
compiuto i quindici anni, anche se è più sviluppata della sua età
Ancora oggi, dopo così tanto tempo, non riesco a
spiegarmi l’esatto significato dell’espressione stravolta ed intensa
di colui che, mio malgrado e suo malgrado, sarebbe riuscito ugualmente
a diventare il mio legittimo consorte « nella buona e nella cattiva
sorte e finché Morte non vi separi ».
Rosario per avermi, mise in atto un piano
diabolico. Ma prima tentò con le buone maniere! Era riuscito a farmi
recapitare da una sua parente una lunghissima ed appassionatissima
lettera, zeppa di infuocate parole scritte con un patetico inchiostro
rosso « simil sangue».
Mia adorata Nina, dal primo momento che ti ho
vista... », mi colpì moltissimo anche la sua "originalità grazie alla
quale, oltre a magnificare naturalmente la mia « incomparabile
bellezza », poté concludere la sua veemente missiva con un « se sarai
mia sarai felice per tutta la vita! ».
Mi guardai bene dal rispondergli, anzi speravo che
dal mio silenzio Rosario avesse capito che per lui non c’era «
speranza alcuna » di convolare a nozze con la sottoscritta. Nemmeno
per un momento mi sfiorò il presentimento di quello che sarebbe potuto
accadere e che poi, fatalmente, accadde. A Rosario restavano ancora
pochi giorni prima del suo rientro a Melbourne, e li usò tutti quanti
nell’attuazione serrata e senza esclusione di colpi del suo piano.
Visto il fallimento delle « buone » maniere, pensò
bene di mettere in atto quelle « cattive».
CAPITOLO SECONDO
Non era ancora mezzogiorno, quando mia madre si
accorse che in casa non c’erano uova per le cotolette che stava
preparando. « Nina —mi disse — vai a comperare mezza dozzina di uova
al negozio della madre di Lina, chè lì sono sempre fresche! E poi
torna subito a casa, senza fermarti a chiacchierare con la tua amica
che devo finire di cucinare! ».
Come sempre quando esco di casa, presi un cardigan
— ricordo che si era in primavera! — e me lo buttai sulle spalle.
Uscendo, come al solito mi rinchiusi alle spalle la porta e mai gesto
fu così definitivo! Al negozio di generi alimentari non giunsi mai!
Poco dopo essermi in-camminata lungo la strada, infatti, mi sentii
afferrare da quattro robuste mani appartenenti a due uomini
completamente sconosciuti. Immediatamente sopraggiunse una macchina
nera e, senza perdere che pochi attimi, mi ci scaraventarono dentro.
L’auto subito ripartì e fu solo allora che io, ancora con il cuore in
gola per lo spavento, mi accorsi che comodamente e sguaiatamente
seduto accanto a me si trovava l’australiano Rosario. L’uomo che,
peggio di un cane da preda, non aveva ancora rinunciato a mollarmi. «
Sarai mia a qualunque costo » aveva scritto in un altro originalissimo
passo della sua unica lettera, e così fu; anche se io al momento non
vi avevo dato molto credito.
Quello che seguì dopo il mio rapimento, si svolse
davvero in un atmosfera con sequenze da incubo! Era inutile che io
continuassi a gridare, come avevo fatto senza rendermene conto fin da
quando mi ero sentita afferrare e sollevare di peso per essere
trasportata dentro l’autovettura. Me ne stetti quindi buona buona; mi
limitavo a singhiozzare ogni tanto con qualche lacrima, inutile
anch’essa, che senza volerlo mi rotolava giù dalle guance. Ormai già
immaginavo la fine che avrei fatto! Ero stata rapita dal mio ostinato
pretendente, e dal momento che con me non aveva speranze, Rosario
aveva pensato che non gli restava altra strada che quella del «
rapimento con consumazione ». Ma allora io ero veramente terrorizzata
da quello che mi attendeva. Al mio paese, non solo alla mia età, ma
anche quasi tutte le ragazze non ancora sposate erano « vergini»,
essendo spesso quella la loro dote più preziosa da offrire al futuro
marito. Anch’io, perciò, non mi discostavo neanche un poco dalla
tradizione ed ero veramente terrorizzata ed angosciata perché da lì a
poco sarei stata « disonorata » da un uomo che non solo non amavo, ma
che ai miei occhi era tanto più anziano di me.
Insieme a tutti quei pensieri si affacciava in me,
inquietante ed insidioso, anche il timore del grande dolore fisico che
credevo sicuramente avrei provato in « quel momento ». I racconti
"dell’iniziazione » che mi avevano fatto le mie compagne più grandi
sembravano dei veri e propri racconti dell’orrore; tanta era la paura
di avere un contatto più approfondito con l’altro sesso. Ma le mie
lacrime non impietosivano proprio nessuno. Dopo circa un’ora di una
corsa veloce e solitaria il compare del Rosario fermò la macchina e
l’amico seduto accanto a lui scese ad aprire la portiera posteriore da
dove il mio pretendente, con modi gentili ma fermi, mi obbligò a
scendere. A quel punto l’amico risalì sulla vettura ed il terzetto di
ruffiani ripartì.
C’era il sole, un sole bellissimo a rendere
assurdamente splendida quella mia bruttissima giornata! Ironia della
sorte! Tra poco sarei diventata donna, ma non sarei stata la bella
amata dal « Principe Azzurro» che dolcemente popolava i miei sogni di
ragazza! Sarei stata invece presa con la forza da un uomo prepotente e
volgare che già sentivo di odiare con tutte le mie forze. Ma in quel
momento decisi che non lo avrei mai sposato, anche a costo di rimanere
zitella per tutto il resto della mia vita!
CAPITOLO TERZO
A distogliermi da quei pensieri cupi, ci pensò
subito il mio rapitore che, senza che me ne fossi accorta, aveva
incominciato a sospingermi verso un sentiero seminascosto dalla
vegetazione. Dopo circa un quarto d’ora di cammino, scorgemmo una
costruzione di campagna che oserei definire "ridente" se non fosse per
la disavventura che stavo passando. Di come fosse "lui" in quel
momento non me ne ricordo neanche un po’; è come se nel mio ricordo
Rosario avesse smarrito i suoi connotati. Era il mio violentatore
odiato e senza volto; era l’uomo che odiavo di più ed io ero colei che
più di tutti egli avrebbe odiato in quel suo breve futuro. Come
arrivammo presto alla casa! Ricordo distintamente il cigolio sinistro
del portoncino che, aprendosi, permise il nostro ingresso nello
"stanzone—attrezzato—con—letto" che oscuri amici gli avevano messo a
disposizione.
Cominciò a spogliarmi brutalmente, con troppa
fretta, quasi come se temesse di pentirsi da un momento all’altro di
quello che mi stava facendo. Io cercai di ribellarmi, di resistergli:
« No — gridavo — no, no! », ma non riuscivo a dire altro. Avevo la
gola secca e mi sentivo scottare, come quando da piccola mi veniva la
febbre alta e mia madre non lasciava mai il mio capezzale fino a
quando non spuntava nuovamente il sole. "L’alba — soleva ripetermi —
si porta via la febbre e tutte le brutte cose». Ed anche allora, come
mi capita talvolta di fare ancora adesso, pensai: «Adda passà ‘a
nuttata!». Quasi a cercare conforto nel mio amatissimo Eduardo, le cui
opere erano il mio unico passatempo dopo la torturante giornata
passata a ricamare.
E la «nuttata» passò, con il pianto e la vergogna,
e la rabbia anche di non avere potuto resistere a quell’uomo che mi
aveva imposto con la violenza quello che ogni donna dovrebbe conoscere
— almeno la prima volta attraverso l’amore.
Il mattino dopo, il taciturno Rosario ruppe
finalmente il suo silenzio — non aveva pronunciato neppure una parola
nemmeno quando bestialmente mi possedette, neanche per dirmi di
starmene zitta. —« Nina, devi capirmi. Ho dovuto farlo perché
altrimenti tu non mi avresti mai voluto, sono stato il tuo primo uomo
e sarò anche l’ultimo. Ora andiamo a casa tua e vedremo se anche così
come sei adesso i tuoi ti riprendono a casa. Capirai finalmente che
adesso come stanno le cose ti conviene solo sposarmi ». Quello fu il
discorso più lungo che Rosario fece durante tutto il resto della sua
vita.
Le cose, però, in un primo momento almeno, non
andarono come « lui » avrebbe voluto. I miei genitori, pur essendo dei
veri « indigeni »del « profondo sud», capirono subito il mio dramma.
Inutile far intervenire i carabinieri; « gli amici » del taciturno
Rosario non avrebbero gradito l’ingerenza della legge negli affari di
cuore del loro protetto. Mio padre mi disse solo: Sei sempre nostra
figlia». Ed infatti io ero la loro unica figlia e solo allora capii
fino a che punto quelle due persone tanto umili eppure tanto care mi
avevano sempre amata! Non seppi fare altro che gettarmi tra le loro
braccia dicendo, tra i singhiozzi: A quello non lo voglio, mi fa
schifo! Non lo voglio adesso e non lo vorrò mai, nemmeno se sulla
terra ci fosse rimasto solo lui! » A questo punto sapete Rosario che
fece? Se ne andò! Sì, se ne andò, e non solo da casa mia ma pure dal
paese appena due giorni dopo. Infatti, mi dissero che se ne era
tornato da dove era venuto.
Mi sembrò di ritornare come « prima » e cercai di
fingere con me stessa che non mi era successo nulla. Ma purtroppo
tutto era invece stato stravolto da quella mia unica ma orribile ed
indimenticabile esperienza. Non solo io, ma nemmeno gli altri del
paese riuscivano a dimenticare. Mi sembrava che ad ogni momento,
qualunque cosa facessi e con chiunque mi trovassi, il passato peccato
era sempre presente a rimproverarmi. Ma non si trattava soltanto di
mie impressioni: anche le mie amiche più vicine, Lina e Lucia,
cercavano ogni tipo di scuse per non frequentarmi più come una volta.
Certamente non era perché lo volevano loro, ma erano costrette ad
obbedire ai loro genitori che non desideravano che le loro figliole,
ancora da maritare, frequentassero una ragazza ormai « disonorata »
Eppure, nonostante questo, stato di cose, io
cercavo di non abbattermi, considerando già una grande fortuna
l’essere riuscita a scampare dalle grinfie di quell’uomo odioso e
prepotente.
Ma il tempo passava, con i suoi giorni, le sue
settimane, i suoi mesi... Il tempo passava ed io mi facevo sempre più
bella, più donna! Il tempo passava ed io mi rendevo conto, con
tristezza e disperazione, che oramai ero stata quasi completamente
isolata dagli amici di una vita. I miei poveri genitori, anche loro,
erano diventati più vecchi e più tristi. E anche se non me lo dicevano
chiaramente io lo capivo che pensavano sarebbe stato meglio per tutti
se io — dopo essere stata disonorata — avessi deciso di
seguire in Australia quell’uomo che pure mi aveva fatto tanto male. E
così il tempo passava, e mentre passava giunse per la seconda volta la
festa del Santo patrono.
Ma come ero cambiata io!
Non ero nemmeno scesa in strada per godermi la
festa, stavo per compiere appena diciassette anni e già mi sentivo
alla fine della mia esistenza. Senza neppure la voglia del più
innocente dei divertimenti, senza nemmeno più la frenesia, che mi
prendeva insieme alle mie ex amiche, che forse quell’anno avremmo
incontrato il ragazzo più bello di tutti e che forse quel ragazzo si
sarebbe innamorato proprio di me. Le fantasticherie ormai non facevano
più parte del mio mondo. Non potevo più permettermi di pensare agli
uomini come una ragazzina ingenua, ignara della peggiore realtà della
vita. Ma neanche mi veniva più di fantasticare, non mi veniva proprio
voglia di uscire, di parlare... ma con chi? Con qualcuno che, se mi
rivolgeva la parola, lo faceva soltanto per pietà? O così almeno mi
pareva...
CAPITOLO QUARTO
Ero praticamente diventata paranoica e me ne stavo
seduta alla finestra, ma senza guardare niente e nessuno in
particolare. Mi ero persino abituata a non pensare nemmeno, era un
esercizio che dopo un lungo allenamento ed una grande concentrazione
finalmente mi riusciva ottimamente. Ero capace, infatti, di
rimanermene a fissare il vuoto per delle ore senza dover pensare
assolutamente a nulla! Che sollievo non essere costretta a pensare
sempre alle solite disgrazie di quella mia vita che non voleva
cambiare! Ma ancora non sapevo che quello che tanto desideravo presto
si sarebbe attuato, però nel peggiore dei modi!
Mentre mi trovavo, così, soprappensiero, mi capitò
di captare con la coda dell’occhio una scena insolita quanto chiara.
Con mio padre e mia madre stava conversando, come tra vecchi amici,
proprio Rosario l’australiano. Ad essere sincera, però, non mi
sembrava peggiorato, né invecchiato. Non posso obiettivamente
affermare che il rivederlo allora mi avesse provocato emozioni
particolari: ma devo dire che lo stavo guardando anzi, mi trovavo ad
osservare per la prima volta una persona dopo tutto quel tempo. E «lui
» lo vedevo come se si trattasse di un’altra persona. Rosario si era
un poco trasformato, sembrava più umano, ecco. I suoi lineamenti si
erano fatti meno pesanti, ma forse mi sbagliavo; forse il ricordo di
quello che lui mi aveva fatto lo aveva reso ai miei occhi molto più
brutto di quello che era veramente. Ma in quei momenti non mi sembrava
più nemmeno lui; non mi rendevo conto che la mia mente esasperata e
stanca di aspettare chissà cosa gli stava concedendo l’ultima chance.
Il nostro primo incontro, dopo quei due anni piatti
ed angoscianti, avvenne però l’indomani. Ricordo che nello stesso
attimo in cui «lui »si accingeva a bussare alla porta, la banda del
comune attaccò la marcia trionfale. Per un’assurda associazione di
sensazioni la cosa mi mise allegria e mi affiorò sulle labbra uno
sconveniente sorriso. Fu così che « lui mi rivide, per la prima volta
dopo tutto quel tempo.
Non gli passò per la mente, neppure per un attimo,
che la sua impudenza aveva certamente oltrepassato i limiti! Ma questa
considerazione non passò neppure per la mia e, stupidamente, gli
dissi: « Accomodati ». E lui si accomodò. Sembravamo paradossalmente
due estranei goffi e cortesi, ma lui si accorse subito del mio strano
quanto inaspettato cambiamento e ne approfittò. Anche se non aveva
minimamente perduto la sua laconicità — che sbagliando io avevo
attribuito a timidezza — pure riuscì a convincermi che in tutto quel
tempo non aveva pensato ad altri che a me. Che ero l’unica donna,
l’unica splendida donna della sua vita e che se lo volevo lui mi
avrebbe sposata subito portandomi via con lui. Lo osservai
attentamente in cerca anche del fiabesco cavallo bianco, ma non c’era,
forse lo aveva educatamente lasciato fuori dalla porta! Mi disse, per
potermi convincere senza ripensamenti, che in Australia si era fatto
una piccola posizione. Era riuscito a rilevare una fabbrichetta di
mobili artigianali, dove lavoravano anche un’altra trentina di persone
— tutti «paesani », cioè siciliani — e che là non si stava poi tanto
male. « Là io avrei potuto fare la signora ed avrei trovato anche
tanta gente che mi avrebbe voluto bene e con la quale fare amicizia,
tanto ero bella! Ma non me l’aveva mai detto nessuno che somigliavo
tantissimo alla Bolkan? Anche la Bolkan usò come estrema
argomentazione per stuzzicare la mia vanità ed il mio desiderio di
evasione! Ancora non mi rendevo conto quanto avrei pagato la
decisione, troppo avventata e frettolosa, di accettare le sue
proposte; ma d’altronde mi sembrava che, data la mia condizione di
donna disonorata — al paese certamente nessuno mi avrebbe più voluta —
non mi restava altro che sposarmi con «il primo uomo della mia vita».
Che non era poi tanto male, nonostante la differenza di età!
Ma non ci sposammo subito. "Lui" infatti doveva
ripartire per Melbourne dove sbrigò le certificazioni necessarie per
il nostro "matrimonio per procura" e per il mio visto d’ingresso
presso le autorità consolari. Io infatti lasciai il mio paesino, con
le sue strade secche ed il suo fiume, solo dopo essere diventata la
moglie di Rosario. Il giorno delle mie nozze, però, al mio fianco
c’era uno degli « amici » del mio promesso; ma onestamente non potrei
dire se si trattava di uno di "quelli" che furono complici del mio
allucinante rapimento.
L’emozione per l’insolita esperienza che mi
attendeva, unita alla paura per il lunghissimo viaggio che mi
accingevo a compiere, riuscirono ad anestetizzare la mia
preoccupazione ed il timore per quello che di nuovo e di insolito mi
attendeva. I naturali interrogativi sul mio prossimo futuro erano per
il momento stati messi da parte; se ne sarebbe riparlato al termine di
quel viaggio che doveva condurmi alla mia vita da "signora".
Nonostante la stanchezza e l’emozione nel
realizzare che mi trovavo in un luogo così distante da casa mia,
nonostante i naturali timori e gli interrogativi per il mio
vicinissimo futuro; tuttavia, quando Rosario si avvicinò per darmi il
suo benvenuto di novello sposo, vide una donna sorridente, giovane e
bella. Non si accorse che non sorridevo a lui, ma a tutte quelle cose
nuove che vedevo per la prima volta e che già mi piacevano e sentivo
di amare. Sorridevo anche alla mia vita futura che io già immaginavo,
se non proprio felice, almeno serena e senza troppe preoccupazioni.
È inutile parlare dei problemi di adattamento,
anche se la maggior parte della gente che frequentavo era italiana; il
vero sconvolgente problema fu "lui" e lo strano atteggiamento che
prese subito dopo il mio arrivo. Certo, io non mi ero illusa che avrei
finito con l’amarlo alla follia, ma credevo che da parte sua ci fosse
almeno una certa esclusiva passione, caratteristica propria agli
uomini della nostra terra, per quello che potevano ancora valere le
tradizioni...
Invece mi sbagliavo, eccome mi sbagliavo! Il nostro
rapporto rivelò quasi subito la sua inconsistenza di povera cosa
basata sul nulla. "Lui ", che quella prima volta nella casupola di
campagna mi aveva resa sua con tanta irruenza, si era successivamente
rivelato un amante frettoloso ed egoista. Malgrado l’amore che diceva
di provare per me, non si preoccupava di dimostrarmelo. Anzi, con il
passare dei giorni, i suoi modi divennero sempre più bruschi ed anzi
un giorno, dopo il caffè del risveglio mi disse: "Sola sempre in casa
a fare niente ti annoi certamente, più tardi vieni alla fabbrica che
c’è da lavorare anche per te; è ora che cominci a guadagnarti il pane
che ti mangi!"
Quelle parole furono per me come una pugnalata.
Avevo già predisposto le mie giornate in maniera da rendermele
sopportabili se non proprio piacevoli. Infatti, malgrado la mia
infelicità di sposa trascurata — avevo appena diciotto anni! —
tuttavia potevo finalmente dedicarmi alle mie letture preferite che,
anche se ero andata a scuola solo fino alla terza media, mi erano
assai utili per quella che io definivo "la formazione della mia
anima".
Ed infatti, filosoficamente, mi consolavo con i
libri riuscendo quasi a tenere lontano - grazie ad essi - le mie
infelicità quotidiane.
Ma adesso tutto stava per finire.., e non era
ancora finita davvero. Dovetti andare in fabbrica e "lui" mi mise a
montare cuscini su odiosi divani; non era un lavoro faticoso, ma
quanto fu umiliante per me che ero stata illusa con il miraggio della
« vita da signora!». Sentivo gli occhi fissi e pietosi delle altre
operaie su di me, così come al paese sentivo gli occhi pietosi ed
accusatori della gente. Nulla era cambiato: sacrifici e vergogna e
disillusione: la mia vita non voleva proprio migliorare!
Anche se non eravamo molto lontani dalla grande
città, le mie giornate di solito le trascorrevo in casa, dopo il
lavoro naturalmente. Tutte le mie proteste risultavano puntualmente
inutili contro il mio irremovibile consorte. Quando io mi lamentavo o
urlavo che non ne potevo più, lui se ne usciva sbattendo la porta per
non stare a sentire quello che gli rinfacciavo. E me ne stavo sola a
disperarmi... ma — forse per l’incoscienza, la rassegnazione o forse
per la giovinezza — dopo un poco mi passava tutto e riprendevo la mia
solita vita che, tutto sommato, non era peggiore di quella che si
faceva al paese.
Ma se io me ne stavo a casa, "lui" non era mai con
me a farmi compagnia. Per Rosario ero stata una preda da conquistare,
una preda che aveva subito dimenticato dopo poche settimane. Lui era
sempre fuori casa, specialmente la sera, ed io pensavo che certamente
doveva avere un’altra donna, anche perchè non mi cercava più nemmeno
per quei frettolosi ed umilianti attimi di intimità. Ma la cosa non mi
turbava affatto; anche se mi ero illusa che forse col tempo sarei
riuscita ad amarlo, il suo comportamento nei miei riguardi lo aveva
allontanato irrimediabilmente dal mio cuore. Che avesse pure altre
donne, ma che mi lasciasse in pace! Ma non ci fu mai pace tra noi,
solo indifferenza che si trasformò in insofferenza e poi in odio...
CAPITOLO QUINTO
Non erano trascorsi ancora sei mesi dal mio arrivo
in terra australiana: quando una sera lui mi ordinò di vestirmi per
uscire con lui. Devo confessare che mi sentii contenta di andare a
divertirmi; chissà perché, ma speravo che saremmo andati a ballare in
uno di quei locali grandi e pieni di luci e di bella gente di cui
avevo sentito parlare in fabbrica, chissà perché... Mi vestii e mi
truccai; uno sguardo allo specchio mi disse che stavo proprio bene,
ero giovane ed ero bella, e tale mi sentivo nonostante la mia
situazione paradossalmente infelice. Quella sera però ero veramente
contenta di uscire, chissà, forse il mio carceriere si stava
ammorbidendo.
Anche lui era molto elegante ed aveva conservato
quella linea snella e distinta che me lo aveva reso accettabile in
occasione del nostro secondo incontro. Salimmo in macchina e ci
avviammo. Ma non vidi venirmi incontro le luci della grande città. Ce
ne stavamo piuttosto allontanando ed alla mia richiesta di
spiegazioni, Rosario mi rispose che stavamo andando in casa di amici.
Mi rassicurai, anche se non mi portava a ballare in un locale
pubblico, una bella serata in casa di amici non era poi male. Dopo
un’altra ventina di minuti di viaggio, finalmente arrivammo. Però la
casa non era un granché, era molto meglio la nostra, ma dall’esterno
non si poteva giudicare. Invece all’interno, con mio grande
disappunto, non c’era alcuna riunione e neppure una festa. C’era un
solo ospite che Rosario mi presentò come il suo caro amico » Francesco
che con gentilezza mi strinse un po’ troppo la mano. Francesco ci
offrì da bere e, subito dopo avere svuotato il suo bicchiere, Rosario
mi disse di aspettarlo in quella casa poiché si era ricordato di un
qualcosa di urgente da fare; mi disse anche di non preoccuparmi perché
mi trovavo in «buona compagnia».
Tutto si svolse così in fretta che non ebbi nemmeno
il tempo di dirgli ciao e lui se ne andò lasciandomi sola con il suo
amico. Solo allora cominciai finalmente a capire. Infatti le
intenzioni di Francesco nei miei confronti mi furono chiare ben
presto. Eppure riuscivo a considerare il tutto in maniera distaccata,
come se non fossi io a trovarmi in quella situazione incresciosa ed
umiliante. Solo in seguito realizzai la brutalità e l’assurdità e la
vergogna di essere stata indotta a prostituirmi proprio da mio marito;
non riuscivo infatti a trovare un aggettivo diverso da «prostituta»
ripensando a quello che accadde dopo che lui se ne era andato.
« Sei bella, ti chiami Nina vero? Ma non te l’ha
mai detto nessuno che somigli alla Bolkan? » — oddio, sempre la
Bolkan! — Finirò con l’odiare sia lei che me ed il fatto di non essere
invece una donna racchia e brutta! » — pensai mentre Francesco cercava
di farmi capire che gli piacevo e che mio marito "gradiva" la cosa,
anzi ci guadagnava!
Da un lato mi sentii offesa come moglie e come
donna. Ma quale moglie ero poi? E come donna.., da quanto tempo non
sentivo delle parole gentili, ammirate... anche se false? Da quanto
tempo non ricevevo una carezza da un vero uomo, piuttosto che da un
coniglio frettoloso? E poi Francesco era anche bello, aveva qualche
anno meno di mio marito e, in quegli attimi di confusione, mi era
sembrato non solo che mi desiderasse, ma che forse potesse anche
amarmi.
Solo ora che mi trovo qui, agli « arresti
domiciliari » nella casa, vicino al paesello siciliano dove nacqui,
che Rosario ed io comprammo al nostro ritorno dall’Australia avvenuto
sette anni dopo la mia avventata e disgraziata partenza; solo ora
capisco che ragazza sciocca ed illusa ero!
Naturalmente non fu per amore che Francesco
cominciò lentamente a spogliarmi. Il caldo dicembre si faceva sentire.
Non ci volle molto e non feci nemmeno resistenza, coinvolta come ero
da quell’atmosfera molle e densa di desiderio che lui era riuscito a
creare con le giuste carezze, la luce bassa e la sua notevole
vitalità. Da quel primo incontro, la donna che era in me scoprì di
avere anche lei le sue esigenze, scopri che era una gran corbelleria
il fatto che si poteva fare all’amore solo per amore e solo col
proprio marito. Io non amavo Francesco eppure devo confessare che mi
piaceva stare con lui. Così, quello che per Rosario doveva essere un
affare per lui ed un’umiliazione per me si rivelò invece un affare per
entrambi.
Non andavo più in fabbrica, tanto il pane che mi
mangiavo — ed anche il companatico — me lo guadagnavo con un
abbondante margine. Qualche volta lui mi faceva andare anche con altri
« amici» che "procurava" senza ritegno. Erano persone facoltose che
pagavano bene per la sosia di Florinda Bolkan! Non mi passava nemmeno
per la mente di lasciare un uomo simile. Eravamo diventati "soci" e «
lui » l’aveva finalmente smessa con quel suo atteggiamento da padrone.
Di lasciarlo non c’era motivo, anche perché, essere sposata con lui o
non esserlo, per me era lo stesso. Allora non amavo nessun uomo in
particolare e non sentivo assolutamente il bisogno della "libertà".
Le cose si trascinarono, sempre allo stesso modo,
per altri sei anni. Naturalmente al paese tutti sapevano che ci
eravamo sistemati bene e che tutto andava magnificamente... peccato
che non avevamo ancora avuto dei bambini, dicevano. «È forse malata?"
— si chiedevano i parenti di "lui ». "È forse malato? " — mi chiedeva
mia madre nelle sue rare lettere. Ma non c’era alcuna malattia, tra di
noi non c’era semplicemente niente.
La decisione di ritornare in Sicilia la prendemmo
quasi contemporaneamente. Non era successo niente in particolare; ma
fu proprio forse perché non succedeva mai nulla di particolare che ci
eravamo stancati di quella vita. E forse il motivo lo si poteva anche
indovinare nella mia segreta speranza che forse al paese qualcosa
sarebbe cam— biato in meglio per me. Non ci volle molto a liquidare
gli altri affari. Al paese Rosario aveva già dato incarico ad un
sensale di occuparsi dell’acquisto di un vasto agrumeto — volevamo
infatti dedicarci alla coltivazione delle arance — con una grande casa
da far ristrutturare nel più breve tempo possibile.
Non passò molto tempo, che ci trovammo insediati al
paese tra la gioia di amici e parenti: non ero più la disonorata, ma
ero ritornata al paesello natio con il mio legittimo sposo, e per di
più possedevo — in comproprietà con lui » — anche quella vastissima
proprietà nella quale avevamo fatto costruire una « reggia ». Come è
facile fabbricare apparenze da gettare davanti agli occhi di quelli
che non vogliono ve— dere altro che "apparenze»! Noi eravamo per tutti
gli sposini « felici »di un tempo, ed era ora di mettersi a pensare di
ingrandire la famiglia!
Ma i giorni invece passavano l’uno uguale
all’altro. lo questa volta badavo esclusivamente alla casa, mentre
Rosario si occupava della conduzione della piccola azienda agrumaria
che gradatamente andava sviluppandosi.
Tutto procedeva uguale, forse un poco meglio che in
Australia però. Lì gia mi ero stancata della vita oscena che facevo e
mi ero stancata in maniera irreversibile degli uomini, solo il
pensiero dei miei genitori riusciva a darmi conforto. Ed ora che li
aveva a pochi chilometri di distanza soltanto ero molto felice, anche
perché adesso potevo finalmente aiutarli tangibilmente nella loro vita
di stenti. Li avevo sempre amati ed il saperli vicino a me, durante
gli ultimi anni della loro esistenza, mi attenuava il rimorso che
provavo nei loro confronti a causa di quello che avevo fatto.
Fu con l’arrivo di Giuliano dal militare che la mia
vita cambiò, illuminandosi inaspettatamente con la presenza di quel
giovane nipote di mio marito. Benché noi due avessimo la stessa età,
io mi sentivo assai più "vecchia" di lui. I miei ventiquattro anni mi
sembravano cinquanta in confronto alla giovinezza ed all’ingenuità dei
tratti del dolcissimo viso di Giuliano. 11 nostro amore sbocciò a poco
a poco, delicatamente, proprio come un umile ma bellissimo fiore di
campo.
« QUANTE VOLTE TI HO REGALATO IL SOLE!
TUTTI I FIORI DEI PRATI
E I BEI GIORNI DORATI
DI PRIMAVERA!
E LA PIOGGIA!
CHE AMAVI SENTIRE CON ME
ABBRACCIATI
TREMANTI D’AMORE
QUANTE VOLTE
LI HO REGALATI AL TUO SORRIDERMI!
Questa fu la nostra poesia. L’aveva scritta
Giuliano per me e me la p diede tremante e timoroso di offendermi, ma
in cuor suo già lo sapeva
che ormai io lo amavo con tutta me stessa. Ed io
capivo di non avere p mai amato nessuno prima. Lo avrei amato anche se
fosse stato brutto d ed addirittura più vecchio di Rosario. Io sapevo
che avrei amato Giu- c liano fino alla fine dei miei giorni e sapevo
anche che tutto ciò valeva p anche per lui. Scoprii così che chi ama «
sà », è come un magico senso LI in più che ci trasporta sulla stessa
lunghezza d’onda della persona d amata. E così, nello stesso momento
in cui noi ci rendiamo conto di
amare veramente qualcuno, scopriamo anche di «
sapere » ogni cosa di quella persona: i pensieri, soprattutto, e poi
tutte quelle infinite sfumature che rendono irripetibile un amore!
E per me era come se conoscessi Giuliano da sempre
ed anche il so— lo parlargli mi riempiva di gioia e di tenerezza.
Confesso che, fino al mio incontro con Giuliano, non avevo mai creduto
che l’Amore esistesse veramente. L’Amore è assai diverso dal piacere.
E qualcosa di estremamente più intenso e più importante, è qualcosa
che nessuno —quando si è tanto fortunati da incontrarlo — è disposto a
lasciarselo sfuggire tanto facilmente.
La mia vera "prima volta" fu proprio con Giuliano.
Non c era in me l’ombra del ricordo degli altri uomini. Io ero
veramente « nata »con il mio solo ed unico amore. Il mio corpo non era
vergine, ma il mio cuore sì e lo donai interamente al mio bellissimo
ed amatissimo nipote nel prato pieno di fiori che vide la « nostra »
prima volta.
Poi tutto precipitò. Non era facile nascondere un
amore così grande e così vero. Mai mi ero sentita così felice e mai il
mio viso era stato così radioso e dolce. Non solo non si poteva andare
avanti in quel modo, ma neppure lo volevamo. Io e Giuliano
desideravamo chiarire tutto con Rosario — il quale anche se non mi
amava mi considerava ormai di sua esclusiva proprietà — per potere
vivere da soli il nostro amore. Anche se Giuliano ancora non aveva
trovato un lavoro — nonostante il sudatissimo diploma — potevamo
intanto vivere con la rendita della mia parte di proprietà. Le cose
insomma andavano chiarite e subito; ma non era facile con il carattere
categorico e violento di Rosario.
Prima ancora che noi due avessimo il coraggio di
parlare al mio ex padrone, mi accorsi con turbamento ma anche con
inaspettata gioia di essere incinta. Non c’erano dubbi che il padre
era Giuliano. Infatti, non solo non avevo più avuto rapporti con
Rosario, ma questi era pressoché sterile. Alla notizia del figlio in
arrivo Giuliano quasi impazzì per l’eccitazione e la felicità. Saremmo
diventati due giovani e felici genitori, ma... Occorreva però
risolvere al più presto il grosso problema costituito da Rosario, che
specie in quegli ultimi giorni era diventato ancora più intrattabile.
Rosario — non sono mai riuscita a chiamarlo diversamente con un
diminutivo o Saro come i suoi amici —però ci precedette invitando suo
nipote a trascorrere qualche giorno in casa nostra, perché aveva
bisogno del suo aiuto durante la raccolta delle arance. Giuliano
accettò di buon grado di aiutare lo zio, anche perché credeva che gli
sarebbe stato più facile spiegargli la nostra situazione.
I primi due giorni furono dedicati esclusivamente
al lavoro, tanto che non riuscivamo a trovare nemmeno un minuto da
dedicare al nostro problema. Poi l’indomani, stava per finire luglio,
Rosario se ne andò a cercare un mediatore per certi conti. Per la
prima volta in quei tre giorni io e Giuliano ci ritrovammo finalmente
soli; ci amavamo tanto che era impossibile restare l’uno lontano
dall’altra. Inevitabilmente finimmo « abbracciati, tremanti d’Amore...
» proprio come nei versi della sua cara poesia. Fu così che Rosario ci
trovò, però notai che stranamente ed insolitamente lui era già armato
con una grossa catena per cani, con la quale subito si avventò su di
me cominciando a dare colpi alla cieca. Sulla mia schiena, sulle mie
mani. Superato lo sbigottimento Giuliano intervenne proprio quando
ormai le mani dello zio — lasciata da parte la catena — stavano già
stringendo un po troppo la mia esile gola. Con la stessa catena che
Rosario aveva usato contro di me, Giuliano, afferrò per il collo lo
zio e cercò di strattonarlo lontano da me, che già stavo per svenire.
E svenni, infatti. Quando mi riebbi, grazie a dell’acqua fresca che
Giuliano mi aveva gettato sul viso, mi accorsi anche della strana pace
che c’era e del viso stravolto del mio soccorritore.
Rosario giaceva immobile a terra ed un piccolo
rivolto di sangue gli fuoriusciva dalla bocca. Non ci voleva molto a
capire che per lui non c’era più nulla da fare, e noi? Preoccupazione,
paura e perché no? anche un insidioso senso di liberazione che si
stava facendo strada in me; tutti insieme contribuirono ad aumentare
lo sgomento e la drammaticità di quegli indimenticabili momenti. Era
chiaro che Giuliano intendeva soltanto impedire che quell’energumeno
mi uccidesse. Che diritto aveva « lui » di fare il marito geloso e
ferito nell’onore? Con quale diritto si era sentito addirittura in
dovere di uccidermi? Forse perché da suo nipote non ci aveva
guadagnato nemmeno una lira?
Ma in quel momento non era importante rispondere ai
miei interrogativi. Era indispensabile invece pensare al da farsi. Ma
che fare? Era la prima volta che Giuliano uccideva qualcuno ed
addirittura senza volerlo. Certo che se il delitto — del quale poi
puntualmente ci accusarono entrambi — lo avevamo davvero organizzato
prima avremmo saputo anche esattamente cosa fare dopo".
Presi dal panico, e certi di non essere
assolutamente creduti nella nostra versione dei fatti, avvolgemmo il
pesante cadavere in un lenzuolo. Riuscimmo così a trascinano fino al
furgoncino dello stesso "caro estinto ». Giungemmo sopra un ponticello
che passava sopra il grande fiume, per nostra fortuna non ancora in
secco, ed il povero Rosario finì tra i flutti. Eravamo certi che il
corpo sarebbe stato trasportato dalla corrente fino al mare e di « lui
» non se ne sarebbe più saputo niente. Infatti, dopo un paio di giorni
denunciai la scomparsa di mio marito ai carabinieri. Ma è proprio vero
che il diavolo fa solo pentole, non i coperchi!
Neanche venti giorni dopo il « fatto » mi vennero a
prelevare i carabinieri. Mi dissero che mio nipote aveva già
confessato. Ma non credei nemmeno per un momento che Giuliano avesse
potuto fare un azione del genere, neppure se vi fosse stato spinto
dalla disperazione. Un uomo onesto e leale come lui non poteva certo
provare rimorso, poiché quello che era accaduto non era colpa sua. Lui
aveva solo impedito che lo zio uccidesse insieme a me anche il nostro
bambino.
Ma questo i carabinieri non potevano saperlo e
cercavano con un trucco scontato di farmi parlare. Ma le cose
precipitarono ugualmente perché saltò fuori il famoso ~coperchio~: un
escursionista aveva trovato in una secca il corpo ancora avvolto nel
suo sudano.
Seppi in seguito che, — proprio mentre si erano
decisi a rilasciarci, dal momento che nei nostri confronti i
carabinieri non erano riusciti a trovare nemmeno una prova tranne
qualche insignificante indizio —ad un maresciallo venne la geniale
idea di confrontare se per caso i ricami del lenzuolo in cui era
avvolto il corpo di mio marito corrispondevano a quelli del corredo di
casa mia. Corrispondevano.
Adesso io mi trovo ancora agli arresti domiciliari,
che mi sono stati concessi dal giudice istruttore in considerazione
della mia maternità prima e poi per lo svezzamento della mia adorata
Marta, che è ancora più bella di me e di suo padre. Mi hanno detto che
quando Giuliano, che si trova ancora in carcere anche lui in attesa di
giudizio, ha saputo della nascita di nostra figlia ha chiesto dello
spumante con il quale ha brindato alla nostra salute: alla salute
della nostra povera ed infelice famiglia. L’avvocato, durante l’ultima
visita che mi ha fatto fin quassù con una simpatica giornalista, mi ha
detto che non tutte le speranze sono ancora perdute. Che forse le
perizie riusciranno a dimostrare la verità delle nostre affermazioni,
che forse la giuria riuscirà a comprendere le situazioni e i tempi...
e i modi... che forse... Ma tutti in paese... e la Stampa... ci
definiscono già "gli amanti diabolici".
GRAZIE A VOI CHE AVETE VOLUTO CONCEDERMI UN POCO
DELLA VOSTRA PREZIOSA ATTENZIONE
Enza Garipoli