SICILIA MILLENNIUM

21.1.2006  

SICILIA MILLENNIUM

Curriculum professionale


Per le Vostre proposte
e segnalazioni scrivere a: enzagaripoli@www.siciliamillennium.it

Scrittrice e Poeta

Enza Garipoli è fra gli autori del Libro "I racconti", con il suo racconto ambientato in Sicilia "ASPETTANDO IL PROCESSO" edito nel 1987, Premio internazionale "Giovanna Geraci", e che fu il primo di una lunga serie di romanzi a sfondo giudiziario.

E' autrice, tra l'altro, della raccolta di storie "quasi" vere "L'ALTRA ANIMA"

del volume di poesie "MIO INFERNO IRRINUNCIABILE"

del romanzo "SCANDALI IN REDAZIONE", di prossima pubblicazione

 

 

 

 

 

   
 

 Enza Garipoli
ASPETTANDO IL PROCESSO

 

 

 
   

Ecco l'omaggio promesso

ASPETTANDO IL PROCESSO
di ENZA GARIPOLI

 

Capitolo primo

Un paesino della Sicilia negli Anni Settanta

 

È proprio vero, quando dicono che sono la copia esatta di Florinda Bolkan hanno proprio ragione! I miei capelli corvini, il viso magro e spigoloso, lo sguardo profondo dei miei occhi neri e la bocca piccola eppure radiosa, sono stati sempre la fonte maggiore dei miei numerosi guai. Adesso, con i miei venticinque anni mi sento già vecchia e quella giovane donna disperata che mi guarda al di là dello specchio mi stupisce, ma solo per quella giovinezza del corpo che oramai non sento più mia.

Sono rinchiusa qui, in casa mia, prigioniera della Giustizia..., « arresti domiciliari» li chiamano.., ma non mi lamento... quello che mi è accaduto è assurdo. Non è facile credere alla nostra versione dei fatti: alla versione mia e di Giuliano.

 Lui sta in carcere da quasi un anno, giù in città, ed io lo sono invece qui nella mia casa. Sola in campagna con la nostra Marta, che ha pochi mesi ed è bellissima, soltanto lei riesce a farmi dimenticare quello che è accaduto meno di un anno fa e che mi vede imputata di « uxoricidio» in concorso con Giuliano, il nipote di mio marito Rosario. Non posso proprio fare a meno di pensare alla dolcezza del primo ed al carattere indecifrabile e subdolo del secondo! La nostra sola colpa, mia e di Giuliano, è stata quella di non essercene fuggiti lontano dalle sue trappole. Quando tutto repentinamente accadde era ormai troppo tardi per ritornare indietro a rimediare.

Tutto ebbe il suo insignificante inizio quasi una decina di anni fa. Non avevo ancora quindici anni allora, e sembravo già più grande della mia età. I miei lunghi capelli neri ed i miei occhi erano, se possibile, ancora più splendenti. Non sono mai stata una ragazza vanitosa, ma me lo ripetevano sempre tutti che ero la più bella del paese e che un giorno un uomo bellissimo e ricchissimo mi avrebbe portata via dagli stenti e dalla miseria di quella nostra vita ghiacciata d’inverno ed infuocata d’estate. Via dalla nostra tremenda estate di gente povera del Sud, con il caldo che aumenta sempre più anche nei pensieri e che esaspera atrocemente tutti i problemi e che porta a galla tutti i rancori... La tragedia di dieci anni dopo, infatti, si acuì e si consumò proprio verso agosto: ricordo che quel giorno eravamo arrivati a 42 gradi all’ombra.., e quella notte non si poteva nemmeno respirare.

 

       Quindici anni avevo ed un corpo di donna fatta. Ma i miei sogni erano ancora di bambina. Si usciva solo per andare a Messa la domenica e per andare ad imparare il ricamo, che in paese è una vera e propria tradizione tramandata da secoli; ma che è un’attività noiosissima per chi non sogna altro che di andarsene via, a qualunque costo! Altra occasione attestssima da noi ragazze era la festa del Santo patrono. In quei giorni, infatti, era possibile finalmente incontrare delle facce diverse dalle solite; tantissin-ìa gente veniva anche dai paesi vicini ad assistere ai devoti e pittoreschi festeggiamenti organizzati dal nostro parroco con l’aiuto del comune. Naturalmente io e le mie amiche eravamo attratte soprattutto dai bei ragazzi che, anche loro, venivano appositamente per ammirare noi che, quasi innocentemente, percorrevamo decine di volte il corso principale con il solo scopo di incrociare, quanto più era possibile, il nostro principe azzurro. Ma che poveri principi erano! Anche noi ci rendevamo conto che, se volevamo veramente cambiare in meglio la nostra esistenza, non era a loro che dovevamo rivolgere i nostri occhi ed i nostri desideri! Eppure erano dei bei ragazzi, la maggior parte ventenni, ma tutti con uno « splendido » futuro di muratori o di contadini a giornata. E mentre si passeggiava si pensava.., che era meglio non pensare e godersi la gioventù e le belle giornate, semplicemente!

Fu proprio durante la festa del Santo che lui » mi si avvicinò; poco dopo che io ebbi salutato Lina e Lucia che mi avevano fatto compagnia durante la famosa passeggiata annuale. « Lui si chiamava Rosario, me lo ricordavo perchè Lucia, avendolo visto poche ore prima, ci aveva raccontato che era partito circa otto mesi prima per l’Australia a cercare fortuna; ma non si sapeva se l’aveva trovata oppure no. Dopo le parole della mia amica non avevo più badato a colui che ai miei occhi non sembrava altri che un vecchio e che doveva essere certamente sui trentacinque anni. Ti posso accompagnare? » — mi chiese con troppa audacia il signor Rosario — « Sempre se non c’è qualcuno che si potrebbe ingelosire". Ma il suo scopo, lo capii ben presto, era quello di informarsi se per caso c’erano concorrenti da sbaragliare.

Purtroppo solo più tardi compresi che gli ero entrata irrimediabilmente nel sangue, e tutto a mie spese...

Quella sera, quella del nostro primo incontro, fuggii via spaventata; ma lui non si lasciò scoraggiare. Tre giorni dopo si presentò addirittura ai miei genitori, con un bel vestito ed un bel sorriso. Mio padre e mia madre — gente estremamente semplice — si sentirono imbarazzatissimi per la visita dell’australiano. E l’australiano Rosario con una faccia tosta, ma con una voce emozionata, chiese a mio padre se acconsentiva che io divenissi sua moglie. Al pover’uomo stava quasi per venire un colpo! Ed anche a me, che incuriosita dalla messinscena del forestiero stavo "controllando » lo svolgimento della conversazione, per poco non mi si fermò il cuore. Ma non per l’emozione gioiosa di essere stata chiesta in moglie, ma per il timore che mio padre — nella speranza di maritarmi e di liberarsi finalmente di una bocca in più da sfamare — acconsentisse all’assurda richiesta di quel « vecchio in cerca di ragazzine ». Ma sarei subito entrata nella stanza a dargli un bacio quando gli rispose: «La nostra Nina è ancora una bambina; è troppo presto per parlare di fiori d’arancio. Noi siamo povera gente e siamo onorati della sua richiesta, ma deve sapere che mia figlia non ha ancora compiuto i quindici anni, anche se è più sviluppata della sua età

Ancora oggi, dopo così tanto tempo, non riesco a spiegarmi l’esatto significato dell’espressione stravolta ed intensa di colui che, mio malgrado e suo malgrado, sarebbe riuscito ugualmente a diventare il mio legittimo consorte « nella buona e nella cattiva sorte e finché Morte non vi separi ».

Rosario per avermi, mise in atto un piano diabolico. Ma prima tentò con le buone maniere! Era riuscito a farmi recapitare da una sua parente una lunghissima ed appassionatissima lettera, zeppa di infuocate parole scritte con un patetico inchiostro rosso « simil sangue».

Mia adorata Nina, dal primo momento che ti ho vista... », mi colpì moltissimo anche la sua "originalità grazie alla quale, oltre a magnificare naturalmente la mia « incomparabile bellezza », poté concludere la sua veemente missiva con un « se sarai mia sarai felice per tutta la vita! ».

Mi guardai bene dal rispondergli, anzi speravo che dal mio silenzio Rosario avesse capito che per lui non c’era « speranza alcuna » di convolare a nozze con la sottoscritta. Nemmeno per un momento mi sfiorò il presentimento di quello che sarebbe potuto accadere e che poi, fatalmente, accadde. A Rosario restavano ancora pochi giorni prima del suo rientro a Melbourne, e li usò tutti quanti nell’attuazione serrata e senza esclusione di colpi del suo piano.

Visto il fallimento delle « buone » maniere, pensò bene di mettere in atto quelle « cattive».

 

CAPITOLO SECONDO

Non era ancora mezzogiorno, quando mia madre si accorse che in casa non c’erano uova per le cotolette che stava preparando. « Nina —mi disse — vai a comperare mezza dozzina di uova al negozio della madre di Lina, chè lì sono sempre fresche! E poi torna subito a casa, senza fermarti a chiacchierare con la tua amica che devo finire di cucinare! ».

Come sempre quando esco di casa, presi un cardigan — ricordo che si era in primavera! — e me lo buttai sulle spalle. Uscendo, come al solito mi rinchiusi alle spalle la porta e mai gesto fu così definitivo! Al negozio di generi alimentari non giunsi mai! Poco dopo essermi in-camminata lungo la strada, infatti, mi sentii afferrare da quattro robuste mani appartenenti a due uomini completamente sconosciuti. Immediatamente sopraggiunse una macchina nera e, senza perdere che pochi attimi, mi ci scaraventarono dentro. L’auto subito ripartì e fu solo allora che io, ancora con il cuore in gola per lo spavento, mi accorsi che comodamente e sguaiatamente seduto accanto a me si trovava l’australiano Rosario. L’uomo che, peggio di un cane da preda, non aveva ancora rinunciato a mollarmi. « Sarai mia a qualunque costo » aveva scritto in un altro originalissimo passo della sua unica lettera, e così fu; anche se io al momento non vi avevo dato molto credito.

Quello che seguì dopo il mio rapimento, si svolse davvero in un atmosfera con sequenze da incubo! Era inutile che io continuassi a gridare, come avevo fatto senza rendermene conto fin da quando mi ero sentita afferrare e sollevare di peso per essere trasportata dentro l’autovettura. Me ne stetti quindi buona buona; mi limitavo a singhiozzare ogni tanto con qualche lacrima, inutile anch’essa, che senza volerlo mi rotolava giù dalle guance. Ormai già immaginavo la fine che avrei fatto! Ero stata rapita dal mio ostinato pretendente, e dal momento che con me non aveva speranze, Rosario aveva pensato che non gli restava altra strada che quella del « rapimento con consumazione ». Ma allora io ero veramente terrorizzata da quello che mi attendeva. Al mio paese, non solo alla mia età, ma anche quasi tutte le ragazze non ancora sposate erano « vergini», essendo spesso quella la loro dote più preziosa da offrire al futuro marito. Anch’io, perciò, non mi discostavo neanche un poco dalla tradizione ed ero veramente terrorizzata ed angosciata perché da lì a poco sarei stata « disonorata » da un uomo che non solo non amavo, ma che ai miei occhi era tanto più anziano di me.

Insieme a tutti quei pensieri si affacciava in me, inquietante ed insidioso, anche il timore del grande dolore fisico che credevo sicuramente avrei provato in « quel momento ». I racconti "dell’iniziazione » che mi avevano fatto le mie compagne più grandi sembravano dei veri e propri racconti dell’orrore; tanta era la paura di avere un contatto più approfondito con l’altro sesso. Ma le mie lacrime non impietosivano proprio nessuno. Dopo circa un’ora di una corsa veloce e solitaria il compare del Rosario fermò la macchina e l’amico seduto accanto a lui scese ad aprire la portiera posteriore da dove il mio pretendente, con modi gentili ma fermi, mi obbligò a scendere. A quel punto l’amico risalì sulla vettura ed il terzetto di ruffiani ripartì.

C’era il sole, un sole bellissimo a rendere assurdamente splendida quella mia bruttissima giornata! Ironia della sorte! Tra poco sarei diventata donna, ma non sarei stata la bella amata dal « Principe Azzurro» che dolcemente popolava i miei sogni di ragazza! Sarei stata invece presa con la forza da un uomo prepotente e volgare che già sentivo di odiare con tutte le mie forze. Ma in quel momento decisi che non lo avrei mai sposato, anche a costo di rimanere zitella per tutto il resto della mia vita!

 

CAPITOLO TERZO

A distogliermi da quei pensieri cupi, ci pensò subito il mio rapitore che, senza che me ne fossi accorta, aveva incominciato a sospingermi verso un sentiero seminascosto dalla vegetazione. Dopo circa un quarto d’ora di cammino, scorgemmo una costruzione di campagna che oserei definire "ridente" se non fosse per la disavventura che stavo passando. Di come fosse "lui" in quel momento non me ne ricordo neanche un po’; è come se nel mio ricordo Rosario avesse smarrito i suoi connotati. Era il mio violentatore odiato e senza volto; era l’uomo che odiavo di più ed io ero colei che più di tutti egli avrebbe odiato in quel suo breve futuro. Come arrivammo presto alla casa! Ricordo distintamente il cigolio sinistro del portoncino che, aprendosi, permise il nostro ingresso nello "stanzone—attrezzato—con—letto" che oscuri amici gli avevano messo a disposizione.

Cominciò a spogliarmi brutalmente, con troppa fretta, quasi come se temesse di pentirsi da un momento all’altro di quello che mi stava facendo. Io cercai di ribellarmi, di resistergli: « No — gridavo — no, no! », ma non riuscivo a dire altro. Avevo la gola secca e mi sentivo scottare, come quando da piccola mi veniva la febbre alta e mia madre non lasciava mai il mio capezzale fino a quando non spuntava nuovamente il sole. "L’alba — soleva ripetermi — si porta via la febbre e tutte le brutte cose». Ed anche allora, come mi capita talvolta di fare ancora adesso, pensai: «Adda passà ‘a nuttata!». Quasi a cercare conforto nel mio amatissimo Eduardo, le cui opere erano il mio unico passatempo dopo la torturante giornata passata a ricamare.

E la «nuttata» passò, con il pianto e la vergogna, e la rabbia anche di non avere potuto resistere a quell’uomo che mi aveva imposto con la violenza quello che ogni donna dovrebbe conoscere — almeno la prima volta attraverso l’amore.

Il mattino dopo, il taciturno Rosario ruppe finalmente il suo silenzio — non aveva pronunciato neppure una parola nemmeno quando bestialmente mi possedette, neanche per dirmi di starmene zitta. —« Nina, devi capirmi. Ho dovuto farlo perché altrimenti tu non mi avresti mai voluto, sono stato il tuo primo uomo e sarò anche l’ultimo. Ora andiamo a casa tua e vedremo se anche così come sei adesso i tuoi ti riprendono a casa. Capirai finalmente che adesso come stanno le cose ti conviene solo sposarmi ». Quello fu il discorso più lungo che Rosario fece durante tutto il resto della sua vita.

Le cose, però, in un primo momento almeno, non andarono come « lui » avrebbe voluto. I miei genitori, pur essendo dei veri « indigeni »del « profondo sud», capirono subito il mio dramma. Inutile far intervenire i carabinieri; « gli amici » del taciturno Rosario non avrebbero gradito l’ingerenza della legge negli affari di cuore del loro protetto. Mio padre mi disse solo: Sei sempre nostra figlia». Ed infatti io ero la loro unica figlia e solo allora capii fino a che punto quelle due persone tanto umili eppure tanto care mi avevano sempre amata! Non seppi fare altro che gettarmi tra le loro braccia dicendo, tra i singhiozzi: A quello non lo voglio, mi fa schifo! Non lo voglio adesso e non lo vorrò mai, nemmeno se sulla terra ci fosse rimasto solo lui! » A questo punto sapete Rosario che fece? Se ne andò! Sì, se ne andò, e non solo da casa mia ma pure dal paese appena due giorni dopo. Infatti, mi dissero che se ne era tornato da dove era venuto.

Mi sembrò di ritornare come « prima » e cercai di fingere con me stessa che non mi era successo nulla. Ma purtroppo tutto era invece stato stravolto da quella mia unica ma orribile ed indimenticabile esperienza. Non solo io, ma nemmeno gli altri del paese riuscivano a dimenticare. Mi sembrava che ad ogni momento, qualunque cosa facessi e con chiunque mi trovassi, il passato peccato era sempre presente a rimproverarmi. Ma non si trattava soltanto di mie impressioni: anche le mie amiche più vicine, Lina e Lucia, cercavano ogni tipo di scuse per non frequentarmi più come una volta. Certamente non era perché lo volevano loro, ma erano costrette ad obbedire ai loro genitori che non desideravano che le loro figliole, ancora da maritare, frequentassero una ragazza ormai « disonorata »

Eppure, nonostante questo, stato di cose, io cercavo di non abbattermi, considerando già una grande fortuna l’essere riuscita a scampare dalle grinfie di quell’uomo odioso e prepotente.

Ma il tempo passava, con i suoi giorni, le sue settimane, i suoi mesi... Il tempo passava ed io mi facevo sempre più bella, più donna! Il tempo passava ed io mi rendevo conto, con tristezza e disperazione, che oramai ero stata quasi completamente isolata dagli amici di una vita. I miei poveri genitori, anche loro, erano diventati più vecchi e più tristi. E anche se non me lo dicevano chiaramente io lo capivo che pensavano sarebbe stato meglio per tutti se io — dopo essere stata disonorata — avessi deciso di seguire in Australia quell’uomo che pure mi aveva fatto tanto male. E così il tempo passava, e mentre passava giunse per la seconda volta la festa del Santo patrono.

Ma come ero cambiata io!

Non ero nemmeno scesa in strada per godermi la festa, stavo per compiere appena diciassette anni e già mi sentivo alla fine della mia esistenza. Senza neppure la voglia del più innocente dei divertimenti, senza nemmeno più la frenesia, che mi prendeva insieme alle mie ex amiche, che forse quell’anno avremmo incontrato il ragazzo più bello di tutti e che forse quel ragazzo si sarebbe innamorato proprio di me. Le fantasticherie ormai non facevano più parte del mio mondo. Non potevo più permettermi di pensare agli uomini come una ragazzina ingenua, ignara della peggiore realtà della vita. Ma neanche mi veniva più di fantasticare, non mi veniva proprio voglia di uscire, di parlare... ma con chi? Con qualcuno che, se mi rivolgeva la parola, lo faceva soltanto per pietà? O così almeno mi pareva...

CAPITOLO QUARTO

 

Ero praticamente diventata paranoica e me ne stavo seduta alla finestra, ma senza guardare niente e nessuno in particolare. Mi ero persino abituata a non pensare nemmeno, era un esercizio che dopo un lungo allenamento ed una grande concentrazione finalmente mi riusciva ottimamente. Ero capace, infatti, di rimanermene a fissare il vuoto per delle ore senza dover pensare assolutamente a nulla! Che sollievo non essere costretta a pensare sempre alle solite disgrazie di quella mia vita che non voleva cambiare! Ma ancora non sapevo che quello che tanto desideravo presto si sarebbe attuato, però nel peggiore dei modi!

Mentre mi trovavo, così, soprappensiero, mi capitò di captare con la coda dell’occhio una scena insolita quanto chiara. Con mio padre e mia madre stava conversando, come tra vecchi amici, proprio Rosario l’australiano. Ad essere sincera, però, non mi sembrava peggiorato, né invecchiato. Non posso obiettivamente affermare che il rivederlo allora mi avesse provocato emozioni particolari: ma devo dire che lo stavo guardando anzi, mi trovavo ad osservare per la prima volta una persona dopo tutto quel tempo. E «lui » lo vedevo come se si trattasse di un’altra persona. Rosario si era un poco trasformato, sembrava più umano, ecco. I suoi lineamenti si erano fatti meno pesanti, ma forse mi sbagliavo; forse il ricordo di quello che lui mi aveva fatto lo aveva reso ai miei occhi molto più brutto di quello che era veramente. Ma in quei momenti non mi sembrava più nemmeno lui; non mi rendevo conto che la mia mente esasperata e stanca di aspettare chissà cosa gli stava concedendo l’ultima chance.

Il nostro primo incontro, dopo quei due anni piatti ed angoscianti, avvenne però l’indomani. Ricordo che nello stesso attimo in cui «lui »si accingeva a bussare alla porta, la banda del comune attaccò la marcia trionfale. Per un’assurda associazione di sensazioni la cosa mi mise allegria e mi affiorò sulle labbra uno sconveniente sorriso. Fu così che « lui mi rivide, per la prima volta dopo tutto quel tempo.

Non gli passò per la mente, neppure per un attimo, che la sua impudenza aveva certamente oltrepassato i limiti! Ma questa considerazione non passò neppure per la mia e, stupidamente, gli dissi: « Accomodati ». E lui si accomodò. Sembravamo paradossalmente due estranei goffi e cortesi, ma lui si accorse subito del mio strano quanto inaspettato cambiamento e ne approfittò. Anche se non aveva minimamente perduto la sua laconicità — che sbagliando io avevo attribuito a timidezza — pure riuscì a convincermi che in tutto quel tempo non aveva pensato ad altri che a me. Che ero l’unica donna, l’unica splendida donna della sua vita e che se lo volevo lui mi avrebbe sposata subito portandomi via con lui. Lo osservai attentamente in cerca anche del fiabesco cavallo bianco, ma non c’era, forse lo aveva educatamente lasciato fuori dalla porta! Mi disse, per potermi convincere senza ripensamenti, che in Australia si era fatto una piccola posizione. Era riuscito a rilevare una fabbrichetta di mobili artigianali, dove lavoravano anche un’altra trentina di persone — tutti «paesani », cioè siciliani — e che là non si stava poi tanto male. « Là io avrei potuto fare la signora ed avrei trovato anche tanta gente che mi avrebbe voluto bene e con la quale fare amicizia, tanto ero bella! Ma non me l’aveva mai detto nessuno che somigliavo tantissimo alla Bolkan? Anche la Bolkan usò come estrema argomentazione per stuzzicare la mia vanità ed il mio desiderio di evasione! Ancora non mi rendevo conto quanto avrei pagato la decisione, troppo avventata e frettolosa, di accettare le sue proposte; ma d’altronde mi sembrava che, data la mia condizione di donna disonorata — al paese certamente nessuno mi avrebbe più voluta — non mi restava altro che sposarmi con «il primo uomo della mia vita». Che non era poi tanto male, nonostante la differenza di età!

Ma non ci sposammo subito. "Lui" infatti doveva ripartire per Melbourne dove sbrigò le certificazioni necessarie per il nostro "matrimonio per procura" e per il mio visto d’ingresso presso le autorità consolari. Io infatti lasciai il mio paesino, con le sue strade secche ed il suo fiume, solo dopo essere diventata la moglie di Rosario. Il giorno delle mie nozze, però, al mio fianco c’era uno degli « amici » del mio promesso; ma onestamente non potrei dire se si trattava di uno di "quelli" che furono complici del mio allucinante rapimento.

L’emozione per l’insolita esperienza che mi attendeva, unita alla paura per il lunghissimo viaggio che mi accingevo a compiere, riuscirono ad anestetizzare la mia preoccupazione ed il timore per quello che di nuovo e di insolito mi attendeva. I naturali interrogativi sul mio prossimo futuro erano per il momento stati messi da parte; se ne sarebbe riparlato al termine di quel viaggio che doveva condurmi alla mia vita da "signora".

Nonostante la stanchezza e l’emozione nel realizzare che mi trovavo in un luogo così distante da casa mia, nonostante i naturali timori e gli interrogativi per il mio vicinissimo futuro; tuttavia, quando Rosario si avvicinò per darmi il suo benvenuto di novello sposo, vide una donna sorridente, giovane e bella. Non si accorse che non sorridevo a lui, ma a tutte quelle cose nuove che vedevo per la prima volta e che già mi piacevano e sentivo di amare. Sorridevo anche alla mia vita futura che io già immaginavo, se non proprio felice, almeno serena e senza troppe preoccupazioni.

È inutile parlare dei problemi di adattamento, anche se la maggior parte della gente che frequentavo era italiana; il vero sconvolgente problema fu "lui" e lo strano atteggiamento che prese subito dopo il mio arrivo. Certo, io non mi ero illusa che avrei finito con l’amarlo alla follia, ma credevo che da parte sua ci fosse almeno una certa esclusiva passione, caratteristica propria agli uomini della nostra terra, per quello che potevano ancora valere le tradizioni...

Invece mi sbagliavo, eccome mi sbagliavo! Il nostro rapporto rivelò quasi subito la sua inconsistenza di povera cosa basata sul nulla. "Lui ", che quella prima volta nella casupola di campagna mi aveva resa sua con tanta irruenza, si era successivamente rivelato un amante frettoloso ed egoista. Malgrado l’amore che diceva di provare per me, non si preoccupava di dimostrarmelo. Anzi, con il passare dei giorni, i suoi modi divennero sempre più bruschi ed anzi un giorno, dopo il caffè del risveglio mi disse: "Sola sempre in casa a fare niente ti annoi certamente, più tardi vieni alla fabbrica che c’è da lavorare anche per te; è ora che cominci a guadagnarti il pane che ti mangi!"

Quelle parole furono per me come una pugnalata. Avevo già predisposto le mie giornate in maniera da rendermele sopportabili se non proprio piacevoli. Infatti, malgrado la mia infelicità di sposa trascurata — avevo appena diciotto anni! — tuttavia potevo finalmente dedicarmi alle mie letture preferite che, anche se ero andata a scuola solo fino alla terza media, mi erano assai utili per quella che io definivo "la formazione della mia anima".

Ed infatti, filosoficamente, mi consolavo con i libri riuscendo quasi a tenere lontano - grazie ad essi - le mie infelicità quotidiane.

Ma adesso tutto stava per finire.., e non era ancora finita davvero. Dovetti andare in fabbrica e "lui" mi mise a montare cuscini su odiosi divani; non era un lavoro faticoso, ma quanto fu umiliante per me che ero stata illusa con il miraggio della « vita da signora!». Sentivo gli occhi fissi e pietosi delle altre operaie su di me, così come al paese sentivo gli occhi pietosi ed accusatori della gente. Nulla era cambiato: sacrifici e vergogna e disillusione: la mia vita non voleva proprio migliorare!

Anche se non eravamo molto lontani dalla grande città, le mie giornate di solito le trascorrevo in casa, dopo il lavoro naturalmente. Tutte le mie proteste risultavano puntualmente inutili contro il mio irremovibile consorte. Quando io mi lamentavo o urlavo che non ne potevo più, lui se ne usciva sbattendo la porta per non stare a sentire quello che gli rinfacciavo. E me ne stavo sola a disperarmi... ma — forse per l’incoscienza, la rassegnazione o forse per la giovinezza — dopo un poco mi passava tutto e riprendevo la mia solita vita che, tutto sommato, non era peggiore di quella che si faceva al paese.

Ma se io me ne stavo a casa, "lui" non era mai con me a farmi compagnia. Per Rosario ero stata una preda da conquistare, una preda che aveva subito dimenticato dopo poche settimane. Lui era sempre fuori casa, specialmente la sera, ed io pensavo che certamente doveva avere un’altra donna, anche perchè non mi cercava più nemmeno per quei frettolosi ed umilianti attimi di intimità. Ma la cosa non mi turbava affatto; anche se mi ero illusa che forse col tempo sarei riuscita ad amarlo, il suo comportamento nei miei riguardi lo aveva allontanato irrimediabilmente dal mio cuore. Che avesse pure altre donne, ma che mi lasciasse in pace! Ma non ci fu mai pace tra noi, solo indifferenza che si trasformò in insofferenza e poi in odio...

CAPITOLO QUINTO

 

Non erano trascorsi ancora sei mesi dal mio arrivo in terra australiana: quando una sera lui mi ordinò di vestirmi per uscire con lui. Devo confessare che mi sentii contenta di andare a divertirmi; chissà perché, ma speravo che saremmo andati a ballare in uno di quei locali grandi e pieni di luci e di bella gente di cui avevo sentito parlare in fabbrica, chissà perché... Mi vestii e mi truccai; uno sguardo allo specchio mi disse che stavo proprio bene, ero giovane ed ero bella, e tale mi sentivo nonostante la mia situazione paradossalmente infelice. Quella sera però ero veramente contenta di uscire, chissà, forse il mio carceriere si stava ammorbidendo.

Anche lui era molto elegante ed aveva conservato quella linea snella e distinta che me lo aveva reso accettabile in occasione del nostro secondo incontro. Salimmo in macchina e ci avviammo. Ma non vidi venirmi incontro le luci della grande città. Ce ne stavamo piuttosto allontanando ed alla mia richiesta di spiegazioni, Rosario mi rispose che stavamo andando in casa di amici. Mi rassicurai, anche se non mi portava a ballare in un locale pubblico, una bella serata in casa di amici non era poi male. Dopo un’altra ventina di minuti di viaggio, finalmente arrivammo. Però la casa non era un granché, era molto meglio la nostra, ma dall’esterno non si poteva giudicare. Invece all’interno, con mio grande disappunto, non c’era alcuna riunione e neppure una festa. C’era un solo ospite che Rosario mi presentò come il suo caro amico » Francesco che con gentilezza mi strinse un po’ troppo la mano. Francesco ci offrì da bere e, subito dopo avere svuotato il suo bicchiere, Rosario mi disse di aspettarlo in quella casa poiché si era ricordato di un qualcosa di urgente da fare; mi disse anche di non preoccuparmi perché mi trovavo in «buona compagnia».

Tutto si svolse così in fretta che non ebbi nemmeno il tempo di dirgli ciao e lui se ne andò lasciandomi sola con il suo amico. Solo allora cominciai finalmente a capire. Infatti le intenzioni di Francesco nei miei confronti mi furono chiare ben presto. Eppure riuscivo a considerare il tutto in maniera distaccata, come se non fossi io a trovarmi in quella situazione incresciosa ed umiliante. Solo in seguito realizzai la brutalità e l’assurdità e la vergogna di essere stata indotta a prostituirmi proprio da mio marito; non riuscivo infatti a trovare un aggettivo diverso da «prostituta» ripensando a quello che accadde dopo che lui se ne era andato.

« Sei bella, ti chiami Nina vero? Ma non te l’ha mai detto nessuno che somigli alla Bolkan? » — oddio, sempre la Bolkan! — Finirò con l’odiare sia lei che me ed il fatto di non essere invece una donna racchia e brutta! » — pensai mentre Francesco cercava di farmi capire che gli piacevo e che mio marito "gradiva" la cosa, anzi ci guadagnava!

Da un lato mi sentii offesa come moglie e come donna. Ma quale moglie ero poi? E come donna.., da quanto tempo non sentivo delle parole gentili, ammirate... anche se false? Da quanto tempo non ricevevo una carezza da un vero uomo, piuttosto che da un coniglio frettoloso? E poi Francesco era anche bello, aveva qualche anno meno di mio marito e, in quegli attimi di confusione, mi era sembrato non solo che mi desiderasse, ma che forse potesse anche amarmi.

Solo ora che mi trovo qui, agli « arresti domiciliari » nella casa, vicino al paesello siciliano dove nacqui, che Rosario ed io comprammo al nostro ritorno dall’Australia avvenuto sette anni dopo la mia avventata e disgraziata partenza; solo ora capisco che ragazza sciocca ed illusa ero!

Naturalmente non fu per amore che Francesco cominciò lentamente a spogliarmi. Il caldo dicembre si faceva sentire. Non ci volle molto e non feci nemmeno resistenza, coinvolta come ero da quell’atmosfera molle e densa di desiderio che lui era riuscito a creare con le giuste carezze, la luce bassa e la sua notevole vitalità. Da quel primo incontro, la donna che era in me scoprì di avere anche lei le sue esigenze, scopri che era una gran corbelleria il fatto che si poteva fare all’amore solo per amore e solo col proprio marito. Io non amavo Francesco eppure devo confessare che mi piaceva stare con lui. Così, quello che per Rosario doveva essere un affare per lui ed un’umiliazione per me si rivelò invece un affare per entrambi.

Non andavo più in fabbrica, tanto il pane che mi mangiavo — ed anche il companatico — me lo guadagnavo con un abbondante margine. Qualche volta lui mi faceva andare anche con altri « amici» che "procurava" senza ritegno. Erano persone facoltose che pagavano bene per la sosia di Florinda Bolkan! Non mi passava nemmeno per la mente di lasciare un uomo simile. Eravamo diventati "soci" e « lui » l’aveva finalmente smessa con quel suo atteggiamento da padrone. Di lasciarlo non c’era motivo, anche perché, essere sposata con lui o non esserlo, per me era lo stesso. Allora non amavo nessun uomo in particolare e non sentivo assolutamente il bisogno della "libertà".

 

Le cose si trascinarono, sempre allo stesso modo, per altri sei anni. Naturalmente al paese tutti sapevano che ci eravamo sistemati bene e che tutto andava magnificamente... peccato che non avevamo ancora avuto dei bambini, dicevano. «È forse malata?" — si chiedevano i parenti di "lui ». "È forse malato? " — mi chiedeva mia madre nelle sue rare lettere. Ma non c’era alcuna malattia, tra di noi non c’era semplicemente niente.

La decisione di ritornare in Sicilia la prendemmo quasi contemporaneamente. Non era successo niente in particolare; ma fu proprio forse perché non succedeva mai nulla di particolare che ci eravamo stancati di quella vita. E forse il motivo lo si poteva anche indovinare nella mia segreta speranza che forse al paese qualcosa sarebbe cam— biato in meglio per me. Non ci volle molto a liquidare gli altri affari. Al paese Rosario aveva già dato incarico ad un sensale di occuparsi dell’acquisto di un vasto agrumeto — volevamo infatti dedicarci alla coltivazione delle arance — con una grande casa da far ristrutturare nel più breve tempo possibile.

Non passò molto tempo, che ci trovammo insediati al paese tra la gioia di amici e parenti: non ero più la disonorata, ma ero ritornata al paesello natio con il mio legittimo sposo, e per di più possedevo — in comproprietà con lui » — anche quella vastissima proprietà nella quale avevamo fatto costruire una « reggia ». Come è facile fabbricare apparenze da gettare davanti agli occhi di quelli che non vogliono ve— dere altro che "apparenze»! Noi eravamo per tutti gli sposini « felici »di un tempo, ed era ora di mettersi a pensare di ingrandire la famiglia!

Ma i giorni invece passavano l’uno uguale all’altro. lo questa volta badavo esclusivamente alla casa, mentre Rosario si occupava della conduzione della piccola azienda agrumaria che gradatamente andava sviluppandosi.

Tutto procedeva uguale, forse un poco meglio che in Australia però. Lì gia mi ero stancata della vita oscena che facevo e mi ero stancata in maniera irreversibile degli uomini, solo il pensiero dei miei genitori riusciva a darmi conforto. Ed ora che li aveva a pochi chilometri di distanza soltanto ero molto felice, anche perché adesso potevo finalmente aiutarli tangibilmente nella loro vita di stenti. Li avevo sempre amati ed il saperli vicino a me, durante gli ultimi anni della loro esistenza, mi attenuava il rimorso che provavo nei loro confronti a causa di quello che avevo fatto.

Fu con l’arrivo di Giuliano dal militare che la mia vita cambiò, illuminandosi inaspettatamente con la presenza di quel giovane nipote di mio marito. Benché noi due avessimo la stessa età, io mi sentivo assai più "vecchia" di lui. I miei ventiquattro anni mi sembravano cinquanta in confronto alla giovinezza ed all’ingenuità dei tratti del dolcissimo viso di Giuliano. 11 nostro amore sbocciò a poco a poco, delicatamente, proprio come un umile ma bellissimo fiore di campo.

 

« QUANTE VOLTE TI HO REGALATO IL SOLE!

TUTTI I FIORI DEI PRATI

E I BEI GIORNI DORATI

DI PRIMAVERA!

E LA PIOGGIA!

CHE AMAVI SENTIRE CON ME

ABBRACCIATI

TREMANTI D’AMORE

QUANTE VOLTE

LI HO REGALATI AL TUO SORRIDERMI!

Questa fu la nostra poesia. L’aveva scritta Giuliano per me e me la p diede tremante e timoroso di offendermi, ma in cuor suo già lo sapeva

che ormai io lo amavo con tutta me stessa. Ed io capivo di non avere p mai amato nessuno prima. Lo avrei amato anche se fosse stato brutto d ed addirittura più vecchio di Rosario. Io sapevo che avrei amato Giu- c liano fino alla fine dei miei giorni e sapevo anche che tutto ciò valeva p anche per lui. Scoprii così che chi ama « sà », è come un magico senso LI in più che ci trasporta sulla stessa lunghezza d’onda della persona d amata. E così, nello stesso momento in cui noi ci rendiamo conto di

amare veramente qualcuno, scopriamo anche di « sapere » ogni cosa di quella persona: i pensieri, soprattutto, e poi tutte quelle infinite sfumature che rendono irripetibile un amore!

E per me era come se conoscessi Giuliano da sempre ed anche il so— lo parlargli mi riempiva di gioia e di tenerezza. Confesso che, fino al mio incontro con Giuliano, non avevo mai creduto che l’Amore esistesse veramente. L’Amore è assai diverso dal piacere. E qualcosa di estremamente più intenso e più importante, è qualcosa che nessuno —quando si è tanto fortunati da incontrarlo — è disposto a lasciarselo sfuggire tanto facilmente.

La mia vera "prima volta" fu proprio con Giuliano. Non c era in me l’ombra del ricordo degli altri uomini. Io ero veramente « nata »con il mio solo ed unico amore. Il mio corpo non era vergine, ma il mio cuore sì e lo donai interamente al mio bellissimo ed amatissimo nipote nel prato pieno di fiori che vide la « nostra » prima volta.

Poi tutto precipitò. Non era facile nascondere un amore così grande e così vero. Mai mi ero sentita così felice e mai il mio viso era stato così radioso e dolce. Non solo non si poteva andare avanti in quel modo, ma neppure lo volevamo. Io e Giuliano desideravamo chiarire tutto con Rosario — il quale anche se non mi amava mi considerava ormai di sua esclusiva proprietà — per potere vivere da soli il nostro amore. Anche se Giuliano ancora non aveva trovato un lavoro — nonostante il sudatissimo diploma — potevamo intanto vivere con la rendita della mia parte di proprietà. Le cose insomma andavano chiarite e subito; ma non era facile con il carattere categorico e violento di Rosario.

Prima ancora che noi due avessimo il coraggio di parlare al mio ex padrone, mi accorsi con turbamento ma anche con inaspettata gioia di essere incinta. Non c’erano dubbi che il padre era Giuliano. Infatti, non solo non avevo più avuto rapporti con Rosario, ma questi era pressoché sterile. Alla notizia del figlio in arrivo Giuliano quasi impazzì per l’eccitazione e la felicità. Saremmo diventati due giovani e felici genitori, ma... Occorreva però risolvere al più presto il grosso problema costituito da Rosario, che specie in quegli ultimi giorni era diventato ancora più intrattabile. Rosario — non sono mai riuscita a chiamarlo diversamente con un diminutivo o Saro come i suoi amici —però ci precedette invitando suo nipote a trascorrere qualche giorno in casa nostra, perché aveva bisogno del suo aiuto durante la raccolta delle arance. Giuliano accettò di buon grado di aiutare lo zio, anche perché credeva che gli sarebbe stato più facile spiegargli la nostra situazione.

I primi due giorni furono dedicati esclusivamente al lavoro, tanto che non riuscivamo a trovare nemmeno un minuto da dedicare al nostro problema. Poi l’indomani, stava per finire luglio, Rosario se ne andò a cercare un mediatore per certi conti. Per la prima volta in quei tre giorni io e Giuliano ci ritrovammo finalmente soli; ci amavamo tanto che era impossibile restare l’uno lontano dall’altra. Inevitabilmente finimmo « abbracciati, tremanti d’Amore... » proprio come nei versi della sua cara poesia. Fu così che Rosario ci trovò, però notai che stranamente ed insolitamente lui era già armato con una grossa catena per cani, con la quale subito si avventò su di me cominciando a dare colpi alla cieca. Sulla mia schiena, sulle mie mani. Superato lo sbigottimento Giuliano intervenne proprio quando ormai le mani dello zio — lasciata da parte la catena — stavano già stringendo un po troppo la mia esile gola. Con la stessa catena che Rosario aveva usato contro di me, Giuliano, afferrò per il collo lo zio e cercò di strattonarlo lontano da me, che già stavo per svenire. E svenni, infatti. Quando mi riebbi, grazie a dell’acqua fresca che Giuliano mi aveva gettato sul viso, mi accorsi anche della strana pace che c’era e del viso stravolto del mio soccorritore.

Rosario giaceva immobile a terra ed un piccolo rivolto di sangue gli fuoriusciva dalla bocca. Non ci voleva molto a capire che per lui non c’era più nulla da fare, e noi? Preoccupazione, paura e perché no? anche un insidioso senso di liberazione che si stava facendo strada in me; tutti insieme contribuirono ad aumentare lo sgomento e la drammaticità di quegli indimenticabili momenti. Era chiaro che Giuliano intendeva soltanto impedire che quell’energumeno mi uccidesse. Che diritto aveva « lui » di fare il marito geloso e ferito nell’onore? Con quale diritto si era sentito addirittura in dovere di uccidermi? Forse perché da suo nipote non ci aveva guadagnato nemmeno una lira?

Ma in quel momento non era importante rispondere ai miei interrogativi. Era indispensabile invece pensare al da farsi. Ma che fare? Era la prima volta che Giuliano uccideva qualcuno ed addirittura senza volerlo. Certo che se il delitto — del quale poi puntualmente ci accusarono entrambi — lo avevamo davvero organizzato prima avremmo saputo anche esattamente cosa fare dopo".

Presi dal panico, e certi di non essere assolutamente creduti nella nostra versione dei fatti, avvolgemmo il pesante cadavere in un lenzuolo. Riuscimmo così a trascinano fino al furgoncino dello stesso "caro estinto ». Giungemmo sopra un ponticello che passava sopra il grande fiume, per nostra fortuna non ancora in secco, ed il povero Rosario finì tra i flutti. Eravamo certi che il corpo sarebbe stato trasportato dalla corrente fino al mare e di « lui » non se ne sarebbe più saputo niente. Infatti, dopo un paio di giorni denunciai la scomparsa di mio marito ai carabinieri. Ma è proprio vero che il diavolo fa solo pentole, non i coperchi!

Neanche venti giorni dopo il « fatto » mi vennero a prelevare i carabinieri. Mi dissero che mio nipote aveva già confessato. Ma non credei nemmeno per un momento che Giuliano avesse potuto fare un azione del genere, neppure se vi fosse stato spinto dalla disperazione. Un uomo onesto e leale come lui non poteva certo provare rimorso, poiché quello che era accaduto non era colpa sua. Lui aveva solo impedito che lo zio uccidesse insieme a me anche il nostro bambino.

Ma questo i carabinieri non potevano saperlo e cercavano con un trucco scontato di farmi parlare. Ma le cose precipitarono ugualmente perché saltò fuori il famoso ~coperchio~: un escursionista aveva trovato in una secca il corpo ancora avvolto nel suo sudano.

Seppi in seguito che, — proprio mentre si erano decisi a rilasciarci, dal momento che nei nostri confronti i carabinieri non erano riusciti a trovare nemmeno una prova tranne qualche insignificante indizio —ad un maresciallo venne la geniale idea di confrontare se per caso i ricami del lenzuolo in cui era avvolto il corpo di mio marito corrispondevano a quelli del corredo di casa mia. Corrispondevano.

Adesso io mi trovo ancora agli arresti domiciliari, che mi sono stati concessi dal giudice istruttore in considerazione della mia maternità prima e poi per lo svezzamento della mia adorata Marta, che è ancora più bella di me e di suo padre. Mi hanno detto che quando Giuliano, che si trova ancora in carcere anche lui in attesa di giudizio, ha saputo della nascita di nostra figlia ha chiesto dello spumante con il quale ha brindato alla nostra salute: alla salute della nostra povera ed infelice famiglia. L’avvocato, durante l’ultima visita che mi ha fatto fin quassù con una simpatica giornalista, mi ha detto che non tutte le speranze sono ancora perdute. Che forse le perizie riusciranno a dimostrare la verità delle nostre affermazioni, che forse la giuria riuscirà a comprendere le situazioni e i tempi... e i modi... che forse... Ma tutti in paese... e la Stampa... ci definiscono già "gli amanti diabolici".

 

GRAZIE A VOI CHE AVETE VOLUTO CONCEDERMI UN POCO DELLA VOSTRA PREZIOSA ATTENZIONE

Enza Garipoli

email to: enzagaripoli@siciliamillennium.it



 

 

  Enza Garipoli, direttore resp. di Sicilia Millennium, scrittrice e giornalista  

 

 
 
 
 
 

Questa pagina è stata aggiornata il 24 giugno 2005